Passaggio a Trieste - Io lo leggerei

"Quelle donne perse nella follia
Lo sguardo di Fabrizia Ramondino sulla sofferenza mentale è quello di una donna estrema, segnata da un senso costante di ribellione, dal temperamento forte e pieno di spigolosità inaspettate e di dolcezze tra le righe, è lo sguardo di una donna che ha personalmente attraversato l' esperienza del dolore come aspetto ineludibile del suo essere al mondo e comunque della condizione umana. Un "occhio" - il suo - nient' affatto distaccato, mai rivolto solo all' esterno, piuttosto abituato da sempre a scrutare le pieghe delle proprie ferite. Della vita di Fabrizia Ramondino - che è nata a Napoli nel 1936 - è conosciuto l' impegno etico, prima ancora che politico, il suo lavoro con i bambini sottoproletari in un asilo napoletano o con I disoccupati organizzati, il primo libro che uscì nel ' 77 da Feltrinelli. Sin dall' inizio la sua è stata un' esistenza da giramondo, con una formazione culturale cosmopolita, legata al gusto della letteratura francese e tedesca. E poi, ancora tanti "passaggi" singolari: un matrimonio civile quando non si usava, più tardi una figlia con un altro compagno, l' esperienza della famiglia allargata, la depressione e la dipendenza dall' alcol, col tempo la scelta di vivere nella campagna di Itri, a due passi dal mare di Sperlonga... Una biografia tormentata che incuriosisce, ma se alla fine interessa davvero è perché fa di lei una scrittrice refrattaria alle convenzioni spesso modeste della nostra scena letteraria, o anche un' outsider, come lei dice. Qui - in Passaggio a Trieste (Einaudi, pagg. 318, lire 30.000, da domani in libreria) - Fabrizia Ramondino ha trasferito sulle pagine di un romanzo- diario una verità profondamente esistenziale intorno allo star male, priva degli incomprensibili tecnicismi di una certa saggistica neppure scientifica come anche delle pochezze di tanta narrativa inconsistente. E' un libro giocato sul filo dell' emozione, affollato di ritratti femminili - di donne "matte", potenti e allucinate, delle loro storie difficili se non atroci, delle loro voci imperiose e dolenti, dei loro tic e dei lamenti e delle ossessioni e dei rifiuti e delle tenere ingenuità che scandiscono il desiderio di raccontare e di essere comprese, ritmano la necessità a volte disperata a volte anche possibile di un riscatto, di un miracoloso ricominciare da capo. A vent' anni dalla legge Basaglia che ha chiuso con l' orrore istituzionale dei manicomi, nel ' 98 Fabrizia Ramondino trascorre due lunghi periodi nel Centro donna salute mentale di Trieste, in un universo percorso dal mistero del dolore mentale, ma anche da una grande passione umana e professione, a tratti da una struggente allegria e sempre da una forte carica utopica. Poco alla volta la scrittrice s' immerge nelle tensioni e nei riti quotidiani di questa bizzarra comunità, e li restituisce con il suo particolare registro linguistico a metà tra il pronunciato lirismo e la documentazione quasi puntigliosa. La definizione di romanzo- diario per Passaggio a Trieste è comunque una scorciatoia per rendere l' idea - approssimativa - di un libro sapiente, pieno di artifici puramente letterari, ricco di sentimento e di pensiero politico oltre che culturale, e di continue digressioni anche sul cinema o sulla musica o sull' architettura, e di rimandi costanti ai versi di Saba, che Fabrizia Ramondino considera la voce più alta della poesia del Novecento italiano come lo è Rilke - dice - per quella tedesca. Ne abbiamo parlato con lei, ed ecco, in sintesi, come ha risposto ad alcune domande. Signora Ramondino, lei apre il suo ultimo libro descrivendo un rapporto con la città di Trieste, di natura vistosamente intellettuale. Da Rilke a Svevo, da Joyce a Saba, da Bobi Bazlen a Franco Basaglia, è una carrellata di grandi nomi al maschile. Poi d' improvviso spunta fuori un uomo che attiene a una dimensione privatissima: Elio Gianturco, il primo grande amore di sua madre. Lei scrive di come fu colpita da una lettera di Bazlen a Montale che si chiudeva con un misterioso interrogativo "Chi è Elio Gianturco?... Che senso ha questo fantasma maschile? "Elio Gianturco lasciò mia madre alla fine degli anni Venti per correre sue avventure in Argentina, e poi a New York. Lei reagì all' abbandono con una febbre altissima, diagnosticata come meningite, e non me ne ha mai parlato... Se ho inseguito per tanto tempo questo fantasma maschile è perchè è stato il grande segreto dell' eros di una madre-donna incapace di condividerlo con la figlia. Credo sia la ragione che mi ha impedito fino a una certa età l' esperienza dell' "amore romantico"...". E' comunque attraverso Bazlen e il fantasma maschile da lui evocato che le si apre, "nel modo più balzano", questa Trieste tutta al femminile, incarnata nella figura insieme reale e letteraria di Assunta Signorelli, la principale terapeuta del Centro. E qui lei dichiara apertamente un certo rifiuto della sua femminilità e "una velata disistima delle donne in generale". Un' affermazione coraggiosa per molte ragioni, tanto più nell' esordio di un libro che può essere letto anche come un manifesto d' amore e di solidarietà nei confronti dell' universo femminile. Lei che ne dice? "Dico che la scrittura è sempre una separazione dal corpo, e questo per le donne artiste ha un prezzo più alto... Certamente per lungo tempo io ho privilegiato l' aspetto intellettuale, e comunque a me è costata una tale fatica affermare la libertà di scelta rispetto ai modelli femminili tradizionali che, sì, è stata una specie di guerra, e allora è inevitabile, devi indurirti rispetto ad altre cose...". In Passaggio a Trieste lei scrive: "Mi rendo conto, considerando le vicende della mia vita e la mia inadeguatezza a farvi fronte, che aver coltivato con costanza l' esercizio della lettura e della scrittura mi ha salvata...". Da che cosa? "Dal male di vivere, dal non senso della vita, dall' insignificanza della mia vita personale... Leggere e scrivere sono attività creative che trasportano in altri mondi e nel profondo di quello tuo personale. Più un libro è scavato dentro se stesso, più raggiunge valori universali... Alla fine, è stato il mio destino di scrittore, di salvare me stessa cercando di salvare le parole dall' incuria, dall' abuso, dall' equivoco, dal fraintendimento. Perché non soffriamo solo noi, soffrono molto anche le parole... E certamente non è un caso che le donne del Centro abbiano chiesto a me, si siano fidate di me, per raccontarle". Un rito serale che chiude le sue giornate e quasi tutti i capitoli del libro è il cinema. Prima i film con Marilyn Monroe, un' attrice che lei non ha amato "da ragazza", e poi quelli di Truffaut... Anche qui sembra ci sia un recupero di una parte femminile, mi sbaglio? "Probabilmente è così. Marylin non l' amavo, perché mi sembrava facesse dei film sciocchi, frivoli. Col tempo ho capito quanto sia invece una grande clown femmina... Truffaut, lui è il poeta dei bambini e degli adolescenti: quando crescono non gli interessano più e preferisce le donne". Lei tifa per Truffaut quando scrive "E' solo contro il mondo adulto che donne e bambini usano l' arma comune delle bugie"... "Certo, Truffaut contrappone al mondo adulto la verità delle donne e dei bambini, che a quel mondo resistono... Comunque, il cinema alla sera è stato un fatto reale, dopo giornate così coinvolgenti ne sentivo la necessità. Nello stesso tempo, è senz' altro anche un artificio letterario. Questo libro ha del resto un legame e un rimando continuo al cinema, visto che è soprattutto un lavoro di montaggio di testi e sottotesti... E il montaggio lo ha inventato il romanzo, prima del cinema". Lei ha vissuto la quotidianità di un Centro, nato nel ' 92 sull' onda lunga dell' esperienza basagliana, dove tutto il personale - nessuno escluso - è formato da donne. Perché un luogo così totalmente femminile? "Per una scelta nata dall' esperienza, perché se una donna sta male, se io sto male preferisco stare tra amiche donne... Gli uomini fanno già una gran fatica a rispettare le donne normali, normali tra molte virgolette, figurarsi se hanno a che fare con donne che soffrono di problemi psichiatrici: il pericolo dell' abuso, in senso lato, qui è decisamente maggiore". Le donne del Centro l' hanno trovata "contraddittoria" e "talora capricciosa, estremista, selvatica"... E' una descrizione in cui si riconosce? "In parte sì, non posso negare quanto vedono gli altri in me. In genere, nella vita, gli altri sono il nostro specchio". Un' ultima domanda: per lei, qual è il senso più profondo di Passaggio a Trieste? "Con questo libro ho voluto attraversare la mia follia, quella delle donne del Centro e soprattutto quella più generale del mondo... Se ci sono riuscita, lo diranno i lettori, il mio è stato un tentativo umile perché comunque davanti al segreto della vita e quindi della follia, davanti all' "indicibile" ci si avvicina, ci si ruota attorno, ma afferrarlo del tutto è impossibile. Non a caso chiudo Passaggio a Trieste con l' immagine del Minotauro, questo essere mostruoso e irriducibile alla ragione chiuso nei passaggi intricati del suo labirinto. Per sfuggirgli, per sconfiggerlo, Teseo deve seguire il filo di Arianna, un fragile legame d' amore".


di LUCIANA SICA
http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2000/02/14/quelle-donne-perse-nella-follia.html
14 febbraio 2000 

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